Immunità parlamentare. Dal dibattito in Assemblea costituente alla riforma costituzionale del 1993

La riforma del 1993 e la successiva giurisprudenza costituzionale
La revisione costituzionale dell’art. 68 Cost. si colloca all’interno di un periodo – XI legislatura – caratterizzato da un mutamento politico così profondo da far parlare di Seconda Repubblica.
La legge costituzionale n. 3 del 1993 confermò lo schema previsto dal testo originario dell’art. 68 Cost., fondato su due prerogative – l’insindacabilità (art. 68, primo comma, Cost.) 4 e l’inviolabilità (art. 68, secondo comma, Cost.).
Per quanto concerne il nuovo regime dell’inviolabilità, furono tre gli aspetti più rilevanti: l’eliminazione dell’autorizzazione a procedere per la sottoposizione a “procedimento penale”, quella per l’arresto o il mantenimento in detenzione in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, e, in ultimo, l’introduzione dell’autorizzazione per la sottoposizione dei parlamentari a “intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro della corrispondenza”.
La ratio di questa nuova impalcatura è stata evidenziata chiaramente dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2007: la nuova formulazione dell’art. 68 Cost. sottende ad un bilanciamento necessario tra l’interesse al libero corso della giurisdizione penale e quello (non già dei parlamentari uti singuli, ma) delle assemblee a conservare l’integrità del plenum e la piena autonomia decisionale.

Successivamente alla modifica dell’art. 68, comma 2, Cost., si registrò un nuovo dibattito interpretativo inerente alla corretta individuazione dell’ambito materiale dell’insindacabilità. Le Camere tentarono di bilanciare l’abolizione dell’autorizzazione a procedere estendendo la prerogativa anche agli interventi a mezzo stampa, trasmissioni radiofoniche o televisive, alle occupazioni di sedi stradali e alle interruzioni di
pubblici servizi. A questo orientamento estensivo si è più volte contrapposta la giurisprudenza della
Corte costituzionale, che ha, a più riprese, individuato il limite estremo dell’insindacabilità utilizzando il concetto di “nesso funzionale” tra espressione di opinioni e di voti ed esercizio delle funzioni parlamentari.
La sentenza n. 10 del 2000 ha escluso ogni discrezionalità interpretativa nella valutazione circa la sussistenza della protezione costituzionale: il “nesso funzionale”, secondo la Corte, sussiste qualora concorrano due requisiti: a) un legame di ordine temporale tra l’attività parlamentare e l’attività esterna, tale che quest’ultima assuma una finalità divulgativa della prima; b) una corrispondenza di significato sostanziale tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e gli atti esterni 5 .

Conclusioni
I mutamenti dell’art. 68 Cost. hanno determinato un’alterazione dei rapporti tra i poteri dello Stato, comprimendo ulteriormente lo spazio di concordanza tra giudici e parlamentari sviluppato nel primo cinquantennio di storia repubblicana; il dibattito attuale che ne consegue – che non può che esserne contaminato – degrada la funzione di accertamento del processo penale ad un attacco di un potere contro un altro, come due corporazioni in lotta tra di loro.