Da più di settant’anni il Festival di Sanremo prevale su tutti i palinsesti televisivi nonostante la sua durata sia di soli sei giorni, da molti definiti scherzosamente la “settimana santa”.L’organizzazione della kermesse musicale è sempre stata opera della Rai, tuttavia ciò rischia di cambiare in seguito alla sentenza n. 843, emanata il 5 dicembre 2024 dal TAR Liguria, con la quale è stato dichiarato illegittimo l’affidamento diretto alla Rai da parte del Comune di Riviera ligure.Sorge pertanto un quesito: come si è arrivati alla sentenza del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) e perché è stata messa in discussione l’appartenenza di un così storico programma ad una così importante rete televisiva?La vicenda ha inizio nel marzo 2023, mese in cui l’ambizioso Sergio Cerruti, celebre presidente della commissione affari legali e istituzionali di AFI (Associazione Fonografici Italiani), manifesta il suo desiderio di acquisire la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e commerciale del Festival di Sanremo e del relativo marchio, in modo da poter curare l’organizzazione dell’evento in vista della scadenza della convenzione del 2023 stipulata tra la Rai e il Comune di Sanremo. Proprio secondo JE, società specializzata in contenuti d’intrattenimento ed etichetta discografica dal 2003, il Comune avrebbe dovuto bandire una procedura a evidenza pubblica per selezionare il soggetto con cui stipulare la nuova convenzione per la realizzazione della prossima edizione del programma, nel rispetto della normativa europea e nazionale in materia di contratti pubblici. Non è un caso, infatti, che la società abbia deciso di rivolgersi al TAR della Liguria con un ricorso avente ad oggetto la deliberazione, non pubblicata e dunque non riconosciuta, con cui il Comune ha affidato alla Rai la concessione dell’uso in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana”.In particolare, secondo quanto stabilito dalla convenzione, si ritiene che tutti i diritti di utilizzazione economica e sfruttamento commerciale del Festival siano attribuiti alla Rai a fronte di un corrispettivo in denaro. Ciò implica che il Comune si obbliga ad una serie di prestazioni che vanno oltre l’utilizzo del marchio più famoso d’Italia.Con riferimento al contesto poc’anzi delineato, risulta doveroso precisare la definizione di marchio a cui la vicenda ripetutamente ed imprescindibilmente rimanda. In economia con il termine marchio si intende un tratto distintivo idoneo a identificare e differenziare i beni di un’azienda rispetto quelli di un’altro competitor: può essere un nome, uno slogan, un simbolo o, come nel caso di specie, un titolo acclamato che richiama la musica, l’arte e il patrimonio artistico della nazione.In conclusione si evince che il marchio registrato nel 2000, che la Rai paga 5 milioni al comune ligure, può essere assegnato tramite una procedura a evidenza pubblica anche ad altre emittenti, con l’esclusione di Mediaset poiché l’amministratore delegato ha dichiarato pubblicamente di non immaginare il Festival al di fuori della programmazione della Rai. Ma un fattore è certo, per il momento, il Festival della Musica Italiana resta un format di titolarità Rai.Pertanto, gli ammiratori devoti e i sostenitori incalliti della kermesse potranno continuare a fare sogni tranquilli: si continuerà a vivere la magia del Festival in tutta la penisola, continuando a pigiare il tasto numero uno del telecomando.